martedì 7 febbraio 2012

UNA MADRE


Il signor Holohan, vice-segretario della società Eire Abu1
aveva camminato su e giù per tutta Dublino quasi un
mese, con le mani e le tasche piene di pezzi di carta
sporchi, organizzando la serie di concerti.
Era storpio di una gamba e per questo gli amici lo
chiamavano Piè zoppo Holohan. Camminava avanti e
indietro continuamente, se ne stava per ore agli angoli
delle strade a discutere il suo punto di vista, e prendeva
appunti; ma alla fine fu la signora Kearney che organizzò
tutto.
La signorina Devlin era diventata la signora Kearney per
dispetto.
Era stata educata in un ottimo collegio, dove aveva
imparato francese e musica. Dato che era per natura
pallida e rigida di contegno, a scuola si era fatta poche
amicizie. Giunta all'età di sposarsi, venne mandata in
molte case, dove il suo modo di suonare e le sue maniere
eburnee erano molto ammirati. Sedeva in mezzo al freddo
alone delle sue doti, aspettando un corteggiatore che si
facesse avanti e le offrisse una vita brillante. Ma i giovani
che conosceva erano ordinari e lei non li incoraggiava
affatto, cercando di consolare i suoi desideri romantici
mangiando in segreto una gran quantità di lukum.
Comunque, quando fu vicina al limite d'età e le lingue
delle amiche cominciarono a sciogliersi, le ridusse al
silenzio sposando il signor Kearney, un calzolaio

dell'Ormond Quay.
Era molto più vecchio di lei. La sua conversazione, che
era seria, aveva luogo a intervalli nella grande barba
castana. Dopo il primo anno di vita coniugale, la signora
Kearney si era resa conto che un uomo del genere
avrebbe resistito meglio di una persona romantica, ma
non mise mai da parte le sue idee romantiche. Era sobrio,
parsimonioso e pio; si accostava all'altare ogni primo
venerdì, talvolta con lei, più spesso da solo. Ma la sua
religiosità non si affievolì mai e fu per lui una buona
moglie. A una festa in casa di estranei quando alzava
impercettibilmente le sopracciglia lui si alzava per
accomiatarsi e, quando era afflitto dalla tosse, gli metteva
la trapunta di piume sui piedi e gli faceva un ponce forte
al rum. Quanto a lui, era un padre modello. Pagando a
una società una piccola somma ogni settimana, aveva
assicurato a entrambe le figlie una dote di cento sterline a
testa quando avessero raggiunto l'età di ventiquattro anni.
Aveva mandato la figlia maggiore, Kathleen, a un buon
convento, dove aveva imparato francese e musica, e dopo
le aveva pagato le frequenze al conservatorio. Ogni anno
in luglio la signora Kearney aveva occasione di dire a
qualche amica:
«Quel brav'uomo ci spedisce a Skerries per qualche
settimana».
Se non era Skerries era Howth o Greystones.
Quando la Rinascita Irlandese cominciò a farsi sentire la
signora Kearney decise di approfittare del nome della
figlia e fece venire un insegnante d'irlandese a casa.
Kathleen e la sorella mandarono cartoline irlandesi
illustrate ai loro amici e questi amici rispedirono altre

cartoline irlandesi illustrate. Certe domeniche speciali,
quando il signor Kearney andava con la famiglia alla
cattedrale, dopo la messa una piccola folla di gente si
riuniva all'angolo di via Cathedral. Erano tutti amici dei
Kearney, appassionati di musica o nazionalisti e, quando
avevano esaurito ogni più piccolo pettegolezzo, si
stringevano le mani gli uni gli altri tutti insieme, ridendo
per l'incrociarsi di tante mani, e si salutavano a vicenda in
irlandese. Presto il nome della signorina Kathleen
Kearney si cominciò a udire spesso sulle labbra della
gente. La gente diceva che era una brava musicista e una
ragazza molto carina e, inoltre, che credeva nel
movimento linguistico. La signora Kearney ne era molto
soddisfatta. Perciò non fu sorpresa quando un giorno il
signor Holohan venne da lei proponendole che la figlia
fosse l'accompagnatrice a una serie di quattro grandi
concerti che la sua società avrebbe dato nelle Antiche
Sale da concerto. Lo condusse in salotto, lo fece sedere e
tirò fuori la caraffa e la scatola d'argento dei biscotti.
Entrò anima e corpo nei dettagli dell'iniziativa, consigliò
e dissuase: e alla fine venne redatto un contratto per il
quale Kathleen doveva percepire otto ghinee per i suoi
servigi quale accompagnatrice ai quattro grandi concerti.
Dato che il signor Holohan era un principiante in
faccende delicate come la dicitura delle locandine e la
disposizione dei numeri per un programma, la signora
Kearney lo aiutò. Aveva tatto. Sapeva quali artistes
dovevano figurare in lettere maiuscole e quali artistes in
caratteri minuscoli. Sapeva che al primo tenore non
sarebbe piaciuto comparire dopo la scenetta comica del
signor Meade. Perché il pubblico fosse continuamente
divertito infilò i numeri incerti fra i vecchi successi. Il
signor Holohan veniva a farle visita ogni giorno per
consultarla. Era invariabilmente cordiale e prodiga di
consigli: un'amica, infatti. Spingeva la caraffa verso di
lui, dicendo:
«Si serva, signor Holohan!».
E mentre si serviva diceva:
«Non si faccia riguardo! Non si faccia riguardo!».
Tutto procedette liscio. La signora Kearney comprò da
Brown Thomas un bellissimo raso rosa forte da inserire
nel corpetto del vestito di Kathleen. Costò una bella
sommetta ma ci sono occasioni in cui è legittimo
spendere un po'. Prese una dozzina di biglietti da due
scellini per il concerto finale e li mandò a quegli amici
che si poteva stare sicuri che altrimenti non sarebbero
venuti. Non dimenticò niente e, grazie a lei, tutto quello
che doveva essere fatto fu fatto.
I concerti dovevano essere di mercoledì, giovedì, venerdì
e sabato. Quando la signora Kearney arrivo il mercoledì
sera con la figlia alle Antiche Sale non le piacque come si
presentavano le cose. Pochi giovani, con distintivi blu
vivo sulle giacche, se ne stavano senza fare niente nel
vestibolo, nessuno indossava l'abito da sera. Passò oltre
con la figlia e una rapida occhiata attraverso la porta
aperta della sala le mostrò la ragione dell'inattività degli
uscieri. Dapprima si domandò se si era sbagliata di ora.
No, mancavano venti minuti alle otto.
Nello spogliatoio dietro il palcoscenico fece la
conoscenza del segretario della società, il signor
Fitzpatrick. Sorrise e gli strinse la mano. Era un omino
dal viso bianco, vacuo. Notò che portava con sciatteria un

cappello marrone floscio di traverso sulla testa e che
aveva un accento piatto. Teneva in mano un programma e
mentre le parlava, ne masticò un margine riducendolo a
poltiglia. Sembrava sopportare le delusioni allegramente.
Il signor Holohan entrava nello spogliatoio ogni minuto
con notizie dal botteghino. Gli artistes parlavano fra loro
nervosamente, lanciando occhiate di tanto in tanto allo
specchio e arrotolando gli spartiti. Quando furono quasi
le otto e mezzo, la poca gente in sala cominciò a
manifestare il desiderio di essere intrattenuta. Il signor
Fitzpatrick entrò, sorrise vacuo alla stanza e disse:
«Bene, signore e signori. Credo sia meglio aprire le
danze».
La signora Kearney ricompensò la piatta sillaba finale
con un rapido sguardo di disprezzo, poi disse alla figlia
con fare incoraggiante:
«Sei pronta, cara?».
Quando ne ebbe l'occasione, chiamò da parte il signor
Holohan e gli chiese di darle spiegazioni. Il signor
Holohan non sapeva darle spiegazioni. Disse che il
comitato aveva commesso uno sbaglio nell’organizzare
quattro concerti: quattro erano troppi.
«E gli artistes!» disse la signora Kearney. «Naturalmente
fanno del loro meglio, ma in realtà non valgono niente.»
Il signor Holohan ammise che gli artistes non valevano
niente, ma il comitato, disse, aveva deciso di lasciare che
i tre primi concerti andassero alla bella e meglio e di
tenere in serbo tutti i talenti per il sabato sera. La signora
Kearney non disse nulla, ma mentre i numeri mediocri si
susseguivano sulla scena e la poca gente in sala
diminuiva sempre più, cominciò a pentirsi delle spese
fatte per un simile concerto. C'era qualcosa che non le
piaceva nel modo come si presentavano le cose e il
sorriso vacuo del signor Fitzpatrick la irritava moltissimo.
Comunque, non disse niente e aspettò a vedere come
sarebbe finita. Il concerto terminò un po' prima delle dieci
e tutti andarono a casa in fretta.
Il concerto del giovedì sera era più affollato, ma la
signora Kearney si accorse subito che il teatro era
riempito con biglietti gratuiti. Il pubblico si comportò in
modo indecoroso, come se il concerto fosse una prova
generale senza pretese. Il signor Fitzpatrick sembrava
divertirsi; non si rendeva proprio conto che la signora
Kearney stava prendendo irata nota del suo
comportamento: se ne stava ai margini del sipario,
sporgendo di tanto in tanto la testa e scambiando risate
con due amici all'angolo della balconata. Nel corso della
sera, la signora Kearney venne a sapere che il concerto
del venerdì sarebbe stato annullato e che il comitato
avrebbe mosso cielo e terra per assicurarsi un tutto
esaurito il sabato sera. Quando sentì questo, andò a
scovare il signor Holohan. Gli attaccò bottone mentre
usciva zoppicando svelto con un bicchiere di limonata per
una signorina e gli chiese se era vero. Sì, era vero.
«Naturalmente, ciò non cambia il contratto» disse. «Il
contratto era per quattro concerti.»
Il signor Holohan sembrava avere fretta; le consigliò di
parlare al signor Fitzpatrick. La signora Kearney adesso
cominciava a spaventarsi. Chiamò il signor Fitzpatrick
via dal suo sipario e gli disse che la figlia si era
impegnata per quattro concerti e che, pertanto,
conformemente ai termini del contratto, doveva percepire

la somma pattuita in origine, che la società desse i quattro
concerti o no. Il signor Fitzpatrick, che non afferrò subito
la questione, parve incapace di risolvere il problema e
disse che avrebbe fatto presente la cosa al comitato. L'ira
della signora Kearney cominciò a muoversi rapida sulle
sue guance e ce la mise tutta per trattenersi dal chiedere:
«E chi è il Comitato, di grazia?».
Ma sapeva che non sarebbe stato signorile, così tacque.
Il venerdì mattina presto vennero mandati nelle strade
principali di Dublino ragazzi con pacchi di volantini.
Speciali réclames apparvero in tutti i giornali della sera,
ricordando agli appassionati di musica il piacere riservato
loro la sera seguente. La signora Kearney fu un po'
rassicurata, ma pensò bene di riferire al marito parte dei
suoi sospetti. Lui ascoltò attentamente e disse che forse
sarebbe stato meglio se l'avesse accompagnata il sabato
sera. Acconsentì. Rispettava il marito proprio come
rispettava la posta centrale, come qualcosa di vasto,
sicuro e di stabile; e sebbene ne conoscesse l'esiguo
numero di doti, ne apprezzava il valore astratto come
maschio. Era contenta che avesse proposto di venire con
lei. Rifletté sul suo piano.
Giunse la sera del grande concerto. La signora Kearney,
con marito e figlia, arrivò alle Antiche Sale tre quarti
d'ora prima dell'ora fissata per l'inizio del concerto.
Sfortuna volle che fosse una sera piovosa. La signora
Kearney affidò al marito indumenti e spartiti della figlia e
perlustrò tutto l'edificio in cerca del signor Holohan e del
signor Fitzpatrick. Non riuscì a trovare nessuno dei due.
Chiese agli uscieri se c'era qualcuno del comitato in sala
e, dopo molte difficoltà, un usciere portò fuori una
donnina, a nome signorina Beirne alla quale la signora
Kearney spiegò che voleva vedere uno dei segretari. La
signorina Beirne li attendeva da un momento all'altro e
chiese se poteva fare qualcosa. La signora Kearney lanciò
uno sguardo penetrante al viso attempato, contorto in
un'espressione di fiducia e di entusiasmo e rispose:
«No, grazie!».
La donnina sperava che il teatro fosse pieno. Guardò
fuori la pioggia finché la malinconia della strada bagnata
cancellò tutta la fiducia e l'entusiasmo dai tratti storti. Poi
mandò un piccolo sospiro e disse:
«Ah, be'! Abbiamo fatto del nostro meglio, lo sa Dio».
La signora Kearney dovette tornare nello spogliatoio.
Gli artistes arrivavano. Il basso e il secondo tenore erano
già arrivati. Il basso, signor Duggan, era un giovane esile
con radi baffi neri. Era figlio del portiere di un ufficio
nella city e, da ragazzo, aveva cantato prolungate note di
basso nell'ingresso pieno di echi. Da tale umile
condizione si era sollevato fino a diventare un artiste di
prim'ordine. Era comparso in un'opera lirica. Una sera,
ammalatosi un artiste lirico, aveva fatto la parte del re
nell'opera Maritana al teatro della Regina. Cantava le sue
arie con grande sentimento e volume ed era accolto
calorosamente dal loggione; ma, purtroppo, rovinò la
buona impressione pulendosi distrattamente una o due
volte il naso con la mano guantata.
Era modesto e parlava poco. Diceva i lei e i tu così
sommessamente che passavano inosservati e non beveva
mai niente di più forte del latte, per la voce. Il signor Bell,
il secondo tenore, era un omino biondo che ogni anno
concorreva ai premi del Feis Ceoil. Alla sua quarta prova

si era aggiudicato la medaglia di bronzo. Era
estremamente nervoso ed estremamente geloso degli altri
tenori e dissimulava la gelosia nervosa con un'esuberante
cordialità. Era incline per carattere a fare sapere alla gente
quale supplizio fosse per lui un concerto. Perciò quando
vide il signor Duggan gli si avvicinò e chiese:
«Canta anche lei?».
«Sì» disse il signor Duggan.
II signor Bell rise al compagno di sventura, tese la mano
e disse:
«Stringa!».
La signora Kearney passò oltre i due giovani e andò ai
margini del sipario per ispezionare il teatro. I posti si
stavano riempiendo rapidamente e nell'auditorium
circolava un rumore piacevole. Tornò indietro e si mise a
parlare in disparte al marito. La loro conversazione
riguardava evidentemente Kathleen, perché la guardavano
spesso mentre in piedi chiacchierava con una delle sue
amiche nazionaliste, la signorina Healy, il contralto. Una
donna sconosciuta e sola con un viso pallido camminava
per la stanza. Le donne seguivano con occhi acuti il
vestito blu stinto steso su un corpo magro. Qualcuno
disse che era Madam Glynn, il soprano.
«Mi domando dove l'hanno stanata» disse Kathleen alla
signorina Healy. «Sono sicura di non averne mai sentito
parlare.»
La signorina Healy dovette sorridere. Il signor Holohan in
quel momento entrò zoppicando nello spogliatoio e le due
signorine gli chiesero chi fosse la sconosciuta. Il signor
Holohan disse che era Madam Glynn di Londra. Madam
Glynn si mise in un angolo della stanza, tenendo
rigidamente dinanzi a sé un rotolo di musica e mutando
ogni tanto direzione allo sguardo allarmato. L'ombra
proteggeva il vestito stinto ma le cadeva vendicativa nel
piccolo incavo dietro la clavicola. Il rumore della sala si
fece più distinto. Il primo tenore e il baritono arrivarono
insieme. Erano entrambi ben vestiti, grossi e compiaciuti,
e portarono un soffio di opulenza fra la compagnia.
La signora Kearney si avvicinò con la figlia e si mise a
parlare amabilmente. Voleva essere in buoni rapporti con
loro ma, mentre si sforzava di essere gentile, i suoi occhi
seguivano i giri zoppicanti e tortuosi del signor Holohan.
Non appena poté si scusò e gli andò dietro.
«Signor Holohan, le vorrei parlare un secondo» disse.
Si diressero verso una parte discreta del corridoio. La
signora Kearney gli chiese quando sarebbe stata pagata la
figlia. Il signor Holohan disse che tale incarico l'aveva il
signor Fitzpatrick. La signora Keamey disse che non
sapeva niente del signor Fitzpatrick. La figlia aveva
firmato un contratto per otto ghinee e doveva essere
pagata. Il signor Holohan disse che non erano affari suoi.
«Perché non sono affari suoi?» chiese la signora Kearney.
«Non è lei che le ha portato il contratto? In ogni caso, se
non sono affari suoi, sono affari miei, e voglio vederci
chiaro.»
«Farebbe meglio a parlare al signor Fitzpatrick» disse il
signor Holohan esplicito.
«Non so niente del signor Fitzpatrick» ripeté la signora
Kearney. «Ho il mio contratto e intendo assicurarmi che
sia mantenuto.»
Quando tornò nello spogliatoio aveva le guance
leggermente soffuse. La stanza era animata. Due uomini

in abito da passeggio si erano impossessati del caminetto
e chiacchieravano familiarmente con la signorina Healy e
il baritono. Erano l'uomo del Freeman e il signor
O'Madden Burke. L'uomo del Freeman era entrato per
dire che non poteva aspettare il concerto dovendo fare la
cronaca di una conferenza che un prete americano teneva
alla Mansion House. Disse che dovevano lasciargli la
cronaca all'ufficio del Freeman e che ci avrebbe pensato
lui a farla mettere. Era un uomo dai capelli grigi con una
voce suadente e modi premurosi. Teneva in mano un
sigaro spento e l'aroma del fumo gli fluttuava vicino. Non
aveva avuto intenzione di trattenersi neanche un attimo,
perché concerti e artistes lo annoiavano terribilmente, ma
rimaneva appoggiato alla mensola del caminetto. La
signorina Healy gli stava in piedi davanti, parlando e
ridendo. Era abbastanza vecchio da sospettare una
ragione per quella gentilezza, ma abbastanza giovane di
spirito da trarre vantaggio dal momento. I suoi sensi
erano attratti dal tepore, profumo e colore di quel corpo.
Era piacevolmente conscio che il seno che vedeva
sollevarsi e abbassarsi piano sotto di lui si sollevava e si
abbassava in quel momento per lui, che il riso e il
profumo e gli sguardi provocanti gli erano offerti in
omaggio. Quando non poté rimanere più a lungo la salutò
con dispiacere.
«O'Madden Burke scriverà lo stelloncino» spiegò al
signor Holohan «e ci penserò io a farlo mettere.»
«Grazie infinite, signor Hendrick» disse il signor
Holohan. «Lo farà, lo so. Prenderebbe qualcosetta prima
di andarsene?»
«Con piacere» disse il signor Hendrick.
I due uomini si avviarono lungo alcuni corridoi tortuosi e
su per una scala buia arrivando a una stanza appartata
dove uno degli uscieri stappava bottiglie per pochi
signori. Uno di tali signori era il signor O'Madden Burke,
che aveva scoperto la stanza d'istinto. Era un uomo
affabile, anziano, che manteneva in equilibrio il corpo
imponente, quando stava in riposo su un grande ombrello
di seta. Il magniloquente nume dell'ovest era l'ombrello
morale su cui teneva in equilibrio il bel problema delle
sue finanze. Era molto rispettato.
Mentre il signor Holohan intratteneva l'uomo del
Freeman la signora Kearney parlava in modo così acceso
al marito che lui dovette chiederle di abbassare la voce.
Nello spogliatoio la conversazione degli altri era
diventata tesa. Il signor Bell, il primo numero, era in piedi
pronto con il suo spartito, ma l'accompagnatrice non
accennava a muoversi. Evidentemente qualcosa non
andava. Il signor Kearney guardava dritto dinanzi a sé,
lisciandosi la barba, mentre la signora Kearney parlava
all'orecchio di Kathleen con enfasi repressa. Dalla sala
venivano suoni di incoraggiamento, un battere di mani e
di piedi. Il primo tenore e il baritono e la signorina Healy
stavano insieme, aspettando tranquilli, ma i nervi del
signor Bell erano molto scossi perché aveva paura che il
pubblico pensasse che era arrivato in ritardo.
Il signor Holohan e il signor O'Madden Burke entrarono
nella stanza. In un attimo il signor Holohan si rese conto
del silenzio. Si avvicinò alla signora Kearney e le parlò
vivacemente. Mentre parlavano il chiasso nella sala si
fece più forte. Il signor Holohan divenne molto rosso ed
eccitato. Parlava spedito, ma la signora Kearney diceva

brusca a intervalli:
«Non continuerà. Deve avere le sue otto ghinee».
Il signor Holohan indicò disperatamente la sala dove il
pubblico batteva mani e piedi. Si appellò al signor
Kearney e a Kathleen. Ma il signor Kearney continuava a
lisciarsi la barba e Kathleen guardava in giù, muovendo
la punta della scarpa nuova: non era colpa sua. La signora
Kearney ripeté:
«Non continuerà senza i soldi».
Dopo una veloce schermaglia verbale il signor Holohan
zoppicò via in fretta. La stanza era silenziosa. Quando per
il silenzio la tensione si fece piuttosto penosa, la
signorina Healy disse al baritono:
«Ha visto la signora Pat Campbell questa settimana?».
II baritono non l'aveva vista ma gli era stato detto che
stava molto bene. La conversazione non andò più in là. Il
primo tenore piegò la testa e cominciò a contare le maglie
della catena d'oro che gli si stendeva da una parte all'altra
della vita sorridendo e cantando note a vanvera con la
bocca chiusa per osservare l'effetto sul seno frontale. Di
tanto in tanto tutti lanciavano occhiate alla signora
Kearney.
Il chiasso nell'auditorium si era ingrossato a clamore
quando il signor Fitzpatrick si precipitò nella stanza,
seguito dal signor Holohan, che ansimava. Il battere di
mani e di piedi nella sala era sottolineato da fischi. Il
signor Fitzpatrick teneva in mano alcune banconote. Ne
contò quattro mettendole in mano alla signora Keamey e
disse che avrebbe avuto l'altra metà durante l'intervallo.
La signora Kearney disse:
«Mancano quattro scellini».
Ma Kathleen raccolse la gonna e disse: «Andiamo, signor
Bell» al primo numero, che tremava come una foglia di
pioppo. Il cantante e l'accompagnatrice uscirono insieme.
Il chiasso nella sala si affievolì. Ci fu una pausa di
qualche secondo, poi si udì il piano.
La prima parte del concerto ebbe molto successo tranne
che per il numero di Madam Glynn. La povera signora
cantò Killarney con voce incorporea e affannata, con tutti
i manierismi antiquati di intonazione e di pronuncia che
credeva rendessero elegante il suo canto. Sembrava
risuscitata da una vecchia attrezzeria di scena e i settori
più popolari della sala ne canzonarono le note alte e
lamentose. Il primo tenore e il contralto, comunque,
fecero crollare il teatro dagli applausi. Kathleen suonò
una scelta di arie irlandesi che fu generosamente
applaudita. La prima parte terminò con un commovente
brano patriottico recitato da una signorina che
organizzava spettacoli per dilettanti. Fu meritatamente
applaudito e, quando fu terminato, gli uomini uscirono
per l'intervallo, soddisfatti.
Durante tutto questo tempo lo spogliatoio era un vespaio
in subbuglio. In un angolo c'erano il signor Holohan, il
signor Fitzpatrick, la signorina Beirne, due degli uscieri,
il baritono, il basso e il signor O'Madden Burke. Il signor
O'Madden Burke disse che era la scena più scandalosa a
cui avesse mai assistito. La carriera di musicista della
signorina Kathleen Keamey dopo questo a Dublino era
finita, disse. Venne chiesto al baritono cosa ne pensasse
della condotta della signora Kearney. Lui non aveva
voglia di pronunciarsi. Gli avevano pagato i suoi soldi e
desiderava essere in pace con il suo prossimo.

Comunque, disse che la signora Kearney avrebbe potuto
avere un po' di considerazione per gli artistes. Gli uscieri
e i segretari discussero con calore sul da farsi al momento
dell'intervallo.
«Sono d'accordo con la signorina Beirne» disse il signor
O'Madden Burke. «Non le date niente.»
In un altro angolo della stanza c'erano la signora Kearney
con il marito, il signor Bell, la signorina Healy e la
signorina che doveva recitare il brano patriottico. La
signora Kearney disse che il comitato l'aveva trattata in
modo scandaloso. Non aveva badato né a noie né a spese
ed ecco come veniva ricompensata.
Pensavano di avere a che fare solo con una ragazza e che,
quindi, potevano comportarsi senza riguardi. Ma avrebbe
mostrato a quelli là che si sbagliavano. Non avrebbero
osato trattarla così se fosse stata un uomo. Ma avrebbe
fatto in modo che la figlia ottenesse i suoi diritti: non
l'avrebbero truffata. Se non le pagavano fino all'ultimo
centesimo a Dublino non si sarebbe parlato d'altro.
Naturalmente le dispiaceva per gli artistes. Ma cos'altro
poteva fare? Fece appello al secondo tenore, il quale disse
che secondo lui non era stata trattata bene. Poi fece
appello alla signorina Healy. La signorina Healy voleva
unirsi all'altro gruppo, ma non se la sentiva di farlo
perché era grande amica di Kathleen e i Kearney
l'avevano spesso invitata a casa loro.
Non appena la prima parte ebbe termine, il signor
Fitzpatrick e il signor Holohan si avvicinarono alla
signora Kearney e le dissero che le altre quattro ghinee
sarebbero state pagate dopo la riunione del comitato il
martedì seguente e che, qualora la figlia non avesse
suonato nella seconda parte, il comitato avrebbe ritenuto
rotto il contratto e non avrebbe pagato niente.
«Io di comitati non ne ho visti» disse la signora Kearney
irosamente. « Mia figlia ha il suo contratto. O avrà
quattro sterline e otto in mano o il piede non lo mette su
quel palcoscenico.»
«Mi stupisco di lei, signora Kearney» disse il signor
Holohan. «Non avrei mai creduto che ci avrebbe trattato
in questo modo.»
«E in che modo mi avete trattato voi?» chiese la signora
Kearney. Sul viso le era affluito un colore iroso e
sembrava che volesse venire alle mani.
«Sto chiedendo i miei diritti» disse.
«Potrebbe avere un po' di pudore» disse il signor
Holohan.
«Sì, eh, davvero?... Ma quando chiedo quando sarà
pagata mia figlia non riesco a ottenere una risposta
cortese.»
Scosse la testa e prese un tono arrogante:
«Devo parlarne al segretario. Non sono affari miei.
Faccio fin troppo, io.»
«La credevo una signora» disse il signor Holohan,
allontanandosi da lei bruscamente.
Dopo di che la condotta della signora Kearney venne
biasimata da tutti: ognuno approvò quello che aveva fatto
il comitato. Lei stava sulla porta, stravolta dalla rabbia,
discutendo con il marito e la figlia, gesticolando con loro.
Attese fino all'ora in cui cominciava la seconda parte
nella speranza che i segretari le si avvicinassero. Ma la
signorina Healy aveva gentilmente acconsentito a suonare
uno o due accompagnamenti. La signora Keamey dovette

farsi da parte per permettere al baritono e alla sua
accompagnatrice di passare diretti al palcoscenico.
Rimase immobile un istante come un'irata immagine di
pietra e, quando le prime note della canzone le giunsero
alle orecchie, afferrò in fretta il mantello della figlia e
disse al marito:
«Trova una vettura! ».
Uscì subito. La signora Kearney avvolse la figlia nel
mantello e lo seguì. Mentre attraversava la soglia si fermò
e fissò uno sguardo torvo in faccia al signor Holohan.
«Con lei non finisce qui» disse.
«Ma finisce qui per lei» disse il signor Holohan.
Kathleen seguì la madre docilmente. Il signor Holohan
cominciò a camminare su e giù per la stanza così da
calmarsi, perché si sentiva la pelle in fiamme.
«Che bella signora! » disse. «Oh, che bella signora! »
«Ha agito nel modo giusto, Holohan» disse il signor
O'Madden Burke, in equilibrio sul suo ombrello, con
approvazione.









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