martedì 7 febbraio 2012

DOPO LA CORSA


Le automobili arrivavano veloci dirette a Dublino, filando
come proiettili nel solco della strada di Naas. A
Inchicore, sulla cima della collina, gli spettatori si erano
riuniti in gruppi per guardare le automobili dirigersi di
gran carriera verso casa, e attraverso questo canale di
povertà e d'inazione il continente faceva passare rapido la
sua ricchezza e la sua industria. Di tanto in tanto dai
gruppi di gente si alzavano gli applausi degli oppressi
grati. La loro simpatia, però, andava alle automobili blu:
le automobili dei loro amici, i francesi.
I francesi, inoltre, erano gli effettivi vincitori. La loro
squadra aveva terminato compatta; si erano piazzati
secondi e terzi e si diceva che il pilota dell'automobile
tedesca vincente fosse belga. Ogni auto blu, pertanto,
riceveva una doppia dose di evviva mentre superava la
cima della collina, e ogni acclamazione veniva accolta
con sorrisi e cenni del capo da quelli nell'automobile. In
una di queste macchine ben costruite c'era un gruppo di
quattro giovani il cui morale sembrava al presente molto
più alto di quello comune ai gallici quando hanno
successo: infatti i quattro giovani erano quasi ilari. Erano
Charles Ségouin, proprietario dell'auto; André Rivière,
giovane elettrotecnico canadese di nascita; un enorme
ungherese di nome Villona e un giovane elegante di nome
Doyle. Ségouin era di buon umore perché aveva
inaspettatamente ricevuto in anticipo alcune ordinazioni
(stava per mettere su una fabbrica di automobili a Parigi)
e Rivière era di buon umore perché sarebbe statonominato direttore della fabbrica; questi due giovani (che
erano cugini) erano anche di buon umore per via del
successo delle automobili francesi. Villona era di buon
umore perché aveva fatto una colazione assai
soddisfacente; ed era, inoltre, un ottimista di natura. Il
quarto membro del gruppo, tuttavia, era troppo eccitato
per essere veramente felice.
Aveva all'incirca ventisei anni, morbidi baffi castani e
occhi grigi dall'aria abbastanza innocente. Suo padre, che
nella vita aveva esordito come nazionalista d'avanguardia,
aveva modificato presto le sue opinioni. Aveva fatto soldi
come macellaio a Kingstown, e aprendo negozi a Dublino
e nei sobborghi aveva moltiplicato questi soldi. Era stato
anche così fortunato da assicurarsi una parte degli appalti
della polizia e alla fine era diventato talmente ricco che
nei giornali di Dublino si alludeva a lui come a un
principe mercante. Aveva mandato il figlio in Inghilterra
perché venisse educato in un grande collegio cattolico e
in seguito l'aveva mandato all'università di Dublino a
studiare legge. Jimmy non studiava molto seriamente e
per un po' si era dato a cattive abitudini. Aveva soldi ed
era benvoluto; e divideva stranamente il suo tempo tra la
musica e l'automobilismo. Poi era stato mandato per un
trimestre a Cambridge a vedere un po' di vita. Suo padre,
protestando, ma segretamente orgoglioso dei suoi eccessi,
aveva pagato i conti e l'aveva riportato a casa. Era a
Cambridge che aveva incontrato Ségouin. Finora non
erano molto più che conoscenti, ma Jimmy stava ben
volentieri in compagnia di uno che aveva visto tanto del
mondo e aveva fama di possedere alcuni dei più grossi
alberghi in Francia. Una persona del genere (come suo
padre conveniva) valeva la pena di essere conosciuta,
anche se non fosse stato l'affascinante compagno che era.
Villona pure era divertente, un brillante pianista, ma,
sfortunatamente, molto povero.
L'automobile continuava a correre allegramente con il suo
carico di gioventù ilare. I due cugini sedevano sul sedile
davanti; Jimmy e il suo amico ungherese sedevano dietro.
Decisamente Villona era di ottimo umore; per miglia di
strada non smise un canterellare di basso profondo. I
francesi si lanciavano dietro le spalle risate e parole gaie e
spesso Jimmy doveva protendersi per afferrare la frase al
volo. Non era del tutto piacevole per lui, dato che quasi
sempre doveva sforzarsi di indovinare il significato e
urlare di rimando una risposta appropriata a dispetto di un
forte vento. Inoltre, il canto di Villona avrebbe confuso
chiunque; il rumore dell'automobile, pure.
Muoversi rapidamente attraverso lo spazio inebria; così la
notorietà, così il possesso del denaro. Erano tre buoni
motivi per l'eccitazione di Jimmy. Era stato visto quel
giorno da molti suoi amici in compagnia dei continentali.
Al posto di controllo Ségouin l'aveva presentato a uno dei
concorrenti francesi e, in risposta al suo confuso
mormorio di omaggio, il viso scuro del pilota aveva
scoperto una fila di splendenti denti bianchi. Dopo
quell'onore era piacevole ritornare al mondo profano
degli spettatori fra gomitate e occhiate eloquenti. Poi
quanto al denaro... aveva a sua disposizione una somma
veramente grossa. Ségouin, forse, non l'avrebbe ritenuta
una grossa somma, ma Jimmy che, malgrado gli errori
passeggeri, aveva in fondo ereditato solidi istinti, sapeva
bene con quale difficoltà era stata messa insieme. Taleconsapevolezza aveva finora mantenuto i suoi conti nei
limiti di una ragionevole noncuranza e, se era stato così
conscio della fatica latente nel denaro quando si era
trattato semplicemente di qualche capriccio intellettuale,
quanto più adesso che stava per rischiare la maggiore
parte delle sue sostanze! Era una cosa seria per lui.
Naturalmente, l'investimento era buono, e Ségouin aveva
fatto in modo di dare l'impressione che era un favore
d'amico includere il piccolo obolo irlandese nel capitale
dell'azienda. Jimmy rispettava la perspicacia paterna negli
affari e in questo caso era stato il padre che per primo
aveva proposto l'investimento; soldi da fare
nell'automobilismo, mucchi di soldi. Per di più, Ségouin
aveva l'aria inequivocabile della ricchezza. Jimmy si mise
a convertire in giorni di lavoro la lussuosa automobile in
cui sedeva. Come correva dolce! Con che stile erano
passati di gran carriera lungo le strade di campagna! Il
viaggio posava un dito magico sul polso autentico della
vita e il meccanismo dei nervi umani si sforzava
valorosamente di rispondere ai rapidi balzi del veloce
animale blu.
Percorsero via Dame. La strada era animata da un traffico
eccezionale, rumorosa per i clacson degli automobilisti e i
gong dei tranvieri. Vicino alla banca Ségouin si fermò e
Jimmy e il suo amico scesero. Un gruppetto di persone si
riunì sul marciapiede per rendere omaggio alla macchina
sbuffante. I giovani dovevano pranzare insieme quella
sera all'albergo di Ségouin e, nel frattempo, Jimmy e
l'amico, che era suo ospite, dovevano andare a casa a
vestirsi. L'automobile si diresse lentamente verso via
Grafton mentre i due giovani si facevano strada fra il
gruppo di spettatori. Camminarono verso nord con uno
strano senso di delusione per l'esercizio fisico, mentre la
città teneva sospesi sopra di loro i pallidi globi di luce in
una foschia da sera estiva.
A casa di Jimmy il pranzo era stato proclamato
un'occasione.
Un certo orgoglio si mescolava alla trepidazione dei
genitori, una certa ansia, anche, di azioni irresponsabili,
perché i nomi delle grandi città straniere hanno almeno
questa virtù. Jimmy, inoltre, stava molto bene quando era
in abito da sera, e mentre, in piedi nell'ingresso,
raddrizzava un'ultima volta il nodo della cravatta, suo
padre poteva sentirsi anche commercialmente soddisfatto
per avere garantito al figlio qualità spesso non
acquistabili. Il padre, pertanto, fu eccezionalmente
cordiale con Villona e il suo atteggiamento manifestò un
vero rispetto per il talento straniero; ma tale sottigliezza
del padrone di casa fu probabilmente sprecata con
l'ungherese, che cominciava ad avere un acuto desiderio
di pranzare.
Il pranzo era ottimo, squisito. Ségouin, Jimmy decise,
aveva gusti molto raffinati. Il numero dei commensali
venne accresciuto da un giovane inglese di nome Routh
che Jimmy aveva visto con Ségouin a Cambridge. I
giovani cenarono in una stanza confortevole illuminata da
candele elettriche. Parlarono animati e disinvolti. Jimmy,
la cui fantasia si era accesa, immaginò la brillante
gioventù dei francesi intrecciata con eleganza alla solida
struttura di modi dell'inglese. Una bella immagine la sua,
pensò, e giusta. Ammirò l'abilità con la quale il loro
ospite dirigeva la conversazione. I cinque giovaniavevano gusti vari e le lingue si erano sciolte. Villona,
con immenso rispetto, cominciò a rivelare all'inglese
blandamente sorpreso le bellezze del madrigale inglese,
deplorando la perdita degli strumenti antichi. Riviere, non
del tutto ingenuamente, prese a spiegare a Jimmy il
trionfo dei meccanici francesi. La voce risonante
dell'ungherese stava per prevalere nel rendere ridicoli i
liuti spurii dei pittori romantici quando Ségouin guidò i
suoi invitati nella politica. Qui il terreno era congeniale a
tutti. Jimmy, in preda ad abbondanti libagioni, sentì lo
zelo sepolto del padre risvegliarsi in lui a nuova vita: e
destò infine dal suo torpore Routh. La stanza si
surriscaldò e il compito di Ségouin si fece più difficile a
ogni istante: ci fu persino il rischio di rancori personali.
L'attento ospite alla prima occasione alzò il bicchiere
all'umanità e, terminato il brindisi, spalancò una finestra
con gesto eloquente.
Quella notte la città si era mascherata da capitale. I
cinque giovani passeggiarono nel giardino di S. Stefano
in una lieve nube di fumo aromatico. Parlavano ad alta
voce e gaiamente con le cappe penzolanti dalle spalle. La
gente si faceva da parte. All'angolo di via Grafton un
uomo basso e grasso stava mettendo in vettura due belle
signore affidandole a un altro uomo grasso. La vettura si
allontanò e l'uomo basso e grasso vide il gruppetto.
«André.»
«È Farley!»
Seguì un fiume di parole. Farley era un americano.
Nessuno sapeva molto bene di cosa si stesse parlando.
Villona e Rivière erano i più chiassosi, ma tutti erano
eccitati. Salirono su una vettura, stipandovisi fra grandi
risate. Avanzarono accanto alla folla, fusa ora in colori
tenui, seguiti da una musica di allegri campanelli. A
Westland Row presero il treno e dopo pochi attimi, così
sembrò a Jimmy, uscirono dalla stazione di Kingstown. Il
bigliettaio salutò Jimmy; era un vecchio:
«Bella notte, signore!».
Era una serena notte estiva; il porto giaceva ai loro piedi
come uno specchio scuro. Proseguirono diretti ad esso
tenendosi sottobraccio, cantando Cadet Roussel in coro,
battendo i piedi a ogni:
«Ho! Ho! Hohé, vraiment!».
Entrarono in una barca a remi all'antiscalo e si avviarono
al largo verso lo yacht dell'americano. Dovevano esserci
cena, musica, carte. Villona disse con convinzione:
«È incantevole!».
C'era un pianoforte da yacht nella cabina. Villona suonò
un valzer per Farley e Rivière, con Farley che faceva da
cavaliere e Rivière da dama. Poi un'estemporanea
quadriglia, con gli uomini che inventavano figure
originali. Che allegria! Jimmy vi prese parte con
entusiasmo; questo era vedere la vita, perlomeno. Poi
Farley rimase senza fiato e gridò «Basta!». Un uomo
portò una cena leggera e i giovani sedettero a mangiarla
per cortesia. Bevvero, comunque: faceva bohémien.
Bevvero all'Irlanda, all'Inghilterra, alla Francia,
all'Ungheria, agli Stati Uniti d'America. Jimmy fece un
discorso, un lungo discorso, mentre Villona diceva
«Udite! Udite!» a ogni pausa. Quando si sedette ci furono
grandi battimani. Doveva essere stato un bel discorso.
Farley gli dette una manata sulle spalle e rise forte. Come
erano gioviali! Come erano di buona compagnia!Carte! carte! La tavola venne sparecchiata. Villona tornò
discreto al suo piano e suonò per loro degli assolo. Gli
altri giocarono una partita dopo l'altra, lanciandosi
coraggiosamente nell'avventura. Bevvero alla salute della
regina di cuori e della regina di quadri. Jimmy sentì
oscuramente la mancanza di un pubblico: lo spirito
scintillava. Il gioco era sempre più forte e cominciarono a
circolare le banconote. Jimmy non sapeva esattamente chi
stesse vincendo, ma sapeva che stava perdendo.
Ma era colpa sua, perché confondeva spesso le carte e gli
altri dovevano calcolargli le dichiarazioni di debito.
Erano formidabili, ma desiderava che smettessero: si
stava facendo tardi. Qualcuno fece un brindisi allo yacht
La bella di Newport, poi qualcuno propose una grande
partita per chiudere.
Il piano si era fermato; Villona doveva essere salito sul
ponte. Era una partita terribile. Si fermarono proprio
prima che finisse per bere alla fortuna. Jimmy capì che la
posta in gioco era tra Routh e Ségouin.
Che emozione! Anche Jimmy era emozionato, avrebbe
perso, naturalmente. Quanto aveva segnato? Gli uomini si
alzarono in piedi per giocare le ultime mani, parlando e
gesticolando. Routh vinse. La cabina tremò per gli evviva
dei giovani e le carte vennero riunite in mazzo. Allora
cominciarono a raccogliere quello che avevano vinto.
Farley e Jimmy erano quelli che avevano perso di più.
Sapeva che la mattina si sarebbe pentito, ma in quel
momento era felice del riposo, felice dello scuro torpore
che avrebbe velato la sua follia. Appoggiò i gomiti sulla
tavola e mise la testa fra le mani, contando i battiti delle
tempie. La porta della cabina si aprì e vide l'ungherese
dritto in una lama di luce grigia:
«L'alba, signori!».

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