martedì 7 febbraio 2012

CONTROPARTITA


Il campanello suonò furiosamente e, quando la signorina
Parker fu andata al tubo, una voce furiosa gridò con acuto
accento nord-irlandese:
«Mandi qui Farrington! ».
La signorina Parker tornò alla sua macchina, dicendo a un
uomo che scriveva a uno scrittoio:
«Il signor Alleyne la vuole di sopra».
L'uomo borbottò «Maledizione a lui!» sotto voce e spinse
indietro la sedia per alzarsi. Quando si alzò era alto e
molto massiccio. Aveva un viso flaccido, colore vino
scuro, con sopracciglia e baffi biondi: gli occhi
sporgevano in fuori leggermente e i bianchi di essi erano
sporchi. Sollevò il banco e, passando accanto ai clienti,
uscì dall'ufficio con passo pesante.
Pesantemente salì le scale finché giunse al secondo
pianerottolo, dove su una porta c'era una targa di ottone
con inciso Signor Alleyne. Qui si fermò, sbuffando per la
fatica e l'irritazione, e bussò. La voce stridula disse forte:
«Avanti!».
L'uomo entrò nella stanza del signor Alleyne.
Simultaneamente il signor Alleyne, un omino con
occhiali cerchiati d'oro su una faccia completamente
sbarbata, alzò di scatto la testa da sopra una pila di
documenti. La testa stessa era così rosea e pelata che
sembrava un grosso uovo posato sulle carte. Il signor
Alleyne non perse un istante:
«Farrington? E questo che significa? Perché mi devo
sempre lamentare di lei? Posso chiederle perché non ha

fatto una copia di quel contratto tra Bodley e Kirwan? Le
avevo detto che doveva essere pronta per le quattro».
«Ma il signor Shelly ha detto, signore...»
«Il signor Shelly ha detto, signore... Per favore si occupi
di quello che dico io e non di quello che dice il signor
Shelly, signore. Lei trova sempre una scusa per evitare di
lavorare. Lasci che le dica che se il contratto non è
copiato prima di stasera farò presente la cosa al signor
Crosbie... Mi ascolta ora?»
«Sì, signore.»
«Mi ascolta ora? Già e un'altra cosetta! Parlare a lei tanto
è come parlare al muro. Si renda conto una volta per tutte
che lei ha una mezz'ora per la colazione e non un'ora e
mezza. Di quanti piatti ha bisogno? Vorrei proprio
saperlo... Mi sta a sentire adesso?»
«Sì, signore.»
Il signor Alleyne chinò di nuovo la testa sulla sua pila di
carte. L'uomo guardò fisso il cranio lucido che dirigeva
gli affari della Crosbie & Alleyne, misurandone la
fragilità. Un attacco di rabbia gli strinse la gola per
qualche istante, poi passò, lasciandosi dietro un'acuta
sensazione di sete. L'uomo riconobbe la sensazione e
sentì che aveva bisogno di una sera di buone bevute. La
metà del mese era passata e, se fosse riuscito a finire la
copia in tempo, il signor Alleyne forse poteva dargli un
ordine di pagamento per il cassiere. Non si mosse,
guardando fisso la testa sulla pila di carte.
Improvvisamente il signor Alleyne cominciò a
scompigliare tutte le carte, alla ricerca di qualcosa.
Allora, come se fosse stato inconsapevole della presenza
dell'uomo fino a quel momento, alzò di nuovo la testa di
scatto, dicendo:
«Eh? Vuole starsene lì tutto il giorno? Parola mia,
Farrington, se la prende comoda! ».
«Stavo aspettando per vedere...»
«Benissimo, non è necessario che aspetti per vedere.
Vada giù e faccia il suo lavoro.»
L'uomo si avviò pesantemente verso la porta e, mentre
usciva dalla stanza, udì il signor Alleyne gridargli dietro
che se per la sera il contratto non era copiato il signor
Crosbie l'avrebbe saputo.
Tornò al suo scrittoio nell'ufficio di sotto e contò i fogli
che rimanevano da copiare. Raccolse la penna e la intinse
nell'inchiostro, ma continuò a fissare istupidito le ultime
parole che aveva scritto: In nessun caso al detto Bernard
Bodley basterà... Cadeva la sera e fra pochi minuti
avrebbero acceso il gas: allora avrebbe potuto scrivere.
Sentì che doveva spegnere la sete che aveva in gola. Si
alzò dallo scrittoio e, sollevando il banco come prima,
uscì dall'ufficio. Mentre usciva il capo ufficio lo guardò
con aria interrogativa.
«Tutto bene, signor Shelly» disse l'uomo, indicando con
il dito per fare capire l'obiettivo del viaggio.
Il capo ufficio dette un'occhiata al portacappelli, ma
vedendone la fila al completo, non fece commenti. Non
appena fu sul pianerottolo l'uomo estrasse dalla tasca un
berretto di lana a quadretti bianchi e neri se lo mise in
testa e corse rapidamente giù per le scale traballanti. Dal
portone si avviò furtivo sul lato interno del marciapiede
verso l'angolo e d'un tratto si lanciò dentro una porta.
Adesso era al sicuro nel buio tepore del locale di O'Neill
e, riempiendo il finestrino che dava sul bar con il viso

acceso, colore vino scuro o carne scura, gridò:
«Ehi, Pat, dammi una birra, da bravo».
Il barista gli portò un bicchiere di birra. L'uomo lo bevve
d'un fiato e chiese un seme di comino. Mise il suo penny
sul bancone e, lasciando il barista cercarlo a tastoni
nell'oscurità, indietreggiò fuori del tepore furtivamente
come vi era entrato.
Il buio, accompagnato da una fitta nebbia, aveva la
meglio sul crepuscolo di febbraio e in via Eustace erano
stati accesi i lampioni. L'uomo avanzò lungo le case
finché giunse alla porta dell'ufficio, domandandosi se
sarebbe riuscito a finire in tempo la copia. Sulle scale un
molle e penetrante odore di profumi gli colpì il naso:
evidentemente era venuta la signorina Delacour mentre
lui stava da O'Neill. Si ficcò di nuovo il berretto in tasca e
rientrò nell'ufficio, affettando un'aria svagata.
«Il signor Alleyne ha chiamato per lei» disse il capo
ufficio severamente. «Dove stava?»
L'uomo dette un'occhiata ai due clienti che erano in piedi
davanti al banco come per suggerire che la loro presenza
gli impediva di rispondere. Dato che i clienti erano
entrambi di sesso maschile il capo ufficio si permise una
risata.
«Il giochetto lo conosco» disse. «Cinque volte in un solo
giorno è un po'... Be', farebbe bene ad affrettarsi a
prendere una copia del nostro carteggio nella causa
Delacour per il signor Alleyne.»
Questa osservazione in presenza del pubblico, la corsa su
per le scale e la birra mandata giù così in fretta turbarono
l'uomo e, mentre si sedeva allo scrittoio per prendere

abiette scuse per l'impertinenza al signor Alleyne, ma
sapeva quale vespaio sarebbe stato per lui l'ufficio.
Ricordava in che modo il signor Alleyne aveva cacciato il
piccolo Peake fuori dell'ufficio allo scopo di fare posto
per il proprio nipote. Si sentiva selvaggio e assetato e
vendicativo, seccato con se stesso e con gli altri. Il signor
Alleyne non gli avrebbe più lasciato un'ora di pace; la sua
vita sarebbe diventata un inferno. Si era reso proprio
ridicolo questa volta. Perché non aveva tenuto la lingua a
posto? Ma non erano mai andati d'accordo fin dall'inizio,
lui e il signor Alleyne, dal giorno che il signor Alleyne
l'aveva sorpreso a imitare il suo accento nord irlandese
per divertire Higgins e la signorina Parker; era
cominciato così. Avrebbe potuto cercare di ottenere i
soldi da Higgins, ma Higgins veramente non ne aveva
mai nemmeno per sé. Un uomo con due famiglie da
mantenere, certo non era in grado...
Di nuovo sentì il grosso corpo dolergli dal desiderio di
trovare conforto in un bar. La nebbia aveva cominciato a
gelarlo e si domandò se poteva chiedere un prestito a Pat
da O'Neill. Non poteva chiedergli più di uno scellino... e
uno scellino non serviva a niente. Pure doveva trovare
soldi da una parte o dall'altra: aveva speso l'ultimo penny
per la birra e presto sarebbe stato troppo tardi per
procurarsi i soldi dovunque. Improvvisamente, mentre le
dita toccavano la catena dell'orologio, pensò all'ufficio di
pegno di Terry Kelly a via Fleet. Che buona idea! Perché
non ci aveva pensato prima?
Attraversò rapidamente lo stretto vicolo di Temple Bar,
borbottando fra sé che potevano tutti andare all'inferno,
tanto lui avrebbe passato una bella serata. Da Terry Kelly
l'impiegato disse: Una corona! ma il consegnatore insisté
per sei scellini; e alla fine i sei scellini gli vennero versati.
Uscì dall'ufficio di pegno tutto allegro, facendo tra pollice
e dita un piccolo cilindro delle monete. A via
Westmoreland i marciapiedi erano affollati di giovani,
uomini e donne, che tornavano dal lavoro, e monelli
cenciosi correvano qua e là strillando i nomi delle
edizioni della sera. L'uomo passò fra la folla, volgendo
sullo spettacolo in generale uno sguardo di orgogliosa
soddisfazione e fissandone uno imperioso sulle
impiegate. Aveva la testa piena dei rumori di gong dei
tram e dei sibili delle vetture e il suo naso già fiutava le
spire di fumo del ponce. Camminando si preparava le
parole con cui avrebbe narrato l'episodio ai ragazzi:
«Allora, l'ho guardato... con calma, sapete, e ho guardato
lei. Poi sono tornato a guardare lui... facendo con comodo
sapete. "Non credo che questa sia una domanda giusta da
farmi" dico».
Nosey Flynn sedeva nel suo solito angolo da Davy Byrne
e, quando udì la storia, offrì a Farrington una mezza,
dicendo che era una delle cose più spiritose che avesse
mai sentito. Farrington offrì da bere a sua volta. Dopo un
po' O'Halloran e Paddy Leonard entrarono e la storia
venne ripetuta. O'Halloran offri bicchieroni di malto,
caldi, a tutti e raccontò la storia della rimbeccata che
aveva dato al capo ufficio quando stava da Callan di via
Fownes; ma, dato che la rimbeccata era nello stile dei
pastori licenziosi delle egloghe, dovette ammettere che
non era intelligente come quella di Farrington. A questo
Farrington disse ai ragazzi di finire in fretta e di berne un
altro.

quanto richiesto, si rese conto di come fosse disperato il
compito di finire la copia del contratto prima delle cinque
e mezzo. La buia umida notte stava arrivando e lui
desiderava intensamente trascorrerla nei bar, bevendo con
gli amici in mezzo alle luci abbaglianti del gas e
all'acciottolio dei bicchieri. Tirò fuori il carteggio
Delacour e uscì dall'ufficio. Sperò che il signor Alleyne
non scoprisse che mancavano le ultime due lettere.
Il molle penetrante profumo stagnava su tutta la scala fino
alla porta del signor Alleyne. La signorina Delacour era
una donna di mezza età dall'aspetto ebreo. Si diceva che il
signor Alleyne fosse innamorato di lei o dei suoi soldi.
Veniva spesso all'ufficio e rimaneva a lungo quando
veniva. Ora sedeva vicino alla scrivania in un aroma di
profumi, lisciando il manico dell'ombrellino e facendo
ondeggiare la grande piuma nera sul cappello. Il signor
Alleyne aveva fatto ruotare la sedia per starle di fronte e
con gesto disinvolto teneva il piede destro poggiato sul
ginocchio sinistro. L'uomo mise il carteggio sul tavolo e
si inchinò rispettosamente, ma né il signor Alleyne né la
signorina Delacour fecero caso al suo inchino. Il signor
Alleyne dette un colpetto al carteggio con un dito che poi
agitò verso di lui come per dire: «Va bene, può andare».
L'uomo tornò nell'ufficio di sotto e si sedette di nuovo al
suo scrittoio. Fissò attentamente la frase incompleta: In
nessun caso al detto Bernard Bodley basterà... e pensò
come era strano che le ultime tre parole cominciassero
con la stessa lettera. Il capo ufficio cominciò a fare fretta
alla signorina Parker, dicendo che non avrebbe mai
battuto le lettere in tempo per la posta.
L'uomo ascoltò il ticchettio della macchina per qualche
minuto e poi si mise al lavoro per finire la copia. Ma non

aveva le idee chiare e la mente gli andò alla luce
abbagliante e al tintinnio del bar. Era una sera da ponce
caldo. Continuò a lottare con la sua copia, ma quando
l'orologio batté le cinque aveva ancora quattordici pagine
da scrivere. Maledizione! Non ce l'avrebbe fatta a finirla
in tempo. Desiderava intensamente imprecare ad alta
voce, sbattere giù il pugno con violenza su qualcosa. Era
così infuriato che scrisse Bernard Bernard invece di
Bernard Bodley e dovette ricominciare su un foglio
nuovo.
Si sentiva abbastanza forte da fare piazza pulita
dell'ufficio da solo. Il corpo gli doleva dalla voglia di
agire, di precipitarsi fuori e trovare piacere nella violenza.
Era infuriato da tutte le indegnità della sua vita... Poteva
chiedere in privato al cassiere un anticipo? No, il cassiere
non serviva a nulla, a un bel nulla: non avrebbe dato un
anticipo... Sapeva dove incontrare i ragazzi: Leonard e
O'Halloran e Nosey Flynn. Il barometro della sua natura
emotiva era fermo su qualche ora di intemperanza.
Le sue fantasie l'avevano così distratto che venne
chiamato due volte per nome prima di rispondere. Il
signor Alleyne e la signorina Delacour erano in piedi
dall'altro lato del banco e tutti gli impiegati si erano
voltati in previsione di qualcosa. L'uomo si alzò dallo
scrittoio. Il signor Alleyne cominciò una tirata di insulti,
dicendo che mancavano due lettere. L'uomo rispose che
non ne sapeva niente, che aveva fatto una copia fedele. La
tirata continuò: era così aspra e violenta che l'uomo riuscì
a malapena a trattenere il pugno dall'abbattersi sulla testa
dell'omiciattolo di fronte a lui.
«Non so nulla di altre due lettere» disse stupidamente.
«Non... sa... nulla. Naturalmente lei non sa nulla» disse il
signor AIleyne. «Mi dica» aggiunse, dando prima
un'occhiata alla signora accanto a lui in cerca di
approvazione «mi prende per un imbecille? Mi ritiene un
completo imbecille?»
L'uomo con lo sguardo andò dal viso della signora alla
testina a forma d'uovo e tornò indietro, e prima quasi che
lui se ne rendesse conto, la sua lingua ebbe un momento
felice:
«Non credo, signore» disse «che sia una domanda giusta
da farmi».
Il respiro stesso degli impiegati si fermò. Tutti erano
sbalorditi (l'autore della spiritosaggine non meno dei suoi
vicini) e la signorina Delacour, che era una grossa
persona gioviale, cominciò apertamente a sorridere. Il
signor Alleyne arrossì finché ebbe il colore di una rosa
selvatica e la bocca gli si contrasse in un'ira da nano.
Scosse il pugno in faccia all'uomo finché esso sembrò
vibrare come la manopola di una qualche macchina
elettrica.
«Mascalzone impertinente! Mascalzone impertinente! Ma
la sistemo io subito! Aspetti a vedere! Mi chieda scusa
della sua impertinenza o lascia l'ufficio all'istante! Lo
lascia, le dico, o mi chiede scusa!»
Se ne stava in un portone di fronte all'ufficio, in attesa di
vedere se il cassiere sarebbe uscito da solo. Tutti gli
impiegati uscirono e infine uscì il cassiere con il capo
ufficio. Era inutile cercare di dirgli una parola quando era
con il capo ufficio. L'uomo sentiva che la sua posizione
era già abbastanza brutta. Era stato obbligato a fare

abiette scuse per l'impertinenza al signor Alleyne, ma
sapeva quale vespaio sarebbe stato per lui l'ufficio.
Ricordava in che modo il signor Alleyne aveva cacciato il
piccolo Peake fuori dell'ufficio allo scopo di fare posto
per il proprio nipote. Si sentiva selvaggio e assetato e
vendicativo, seccato con se stesso e con gli altri. Il signor
Alleyne non gli avrebbe più lasciato un'ora di pace; la sua
vita sarebbe diventata un inferno. Si era reso proprio
ridicolo questa volta. Perché non aveva tenuto la lingua a
posto? Ma non erano mai andati d'accordo fin dall'inizio,
lui e il signor Alleyne, dal giorno che il signor Alleyne
l'aveva sorpreso a imitare il suo accento nord irlandese
per divertire Higgins e la signorina Parker; era
cominciato così. Avrebbe potuto cercare di ottenere i
soldi da Higgins, ma Higgins veramente non ne aveva
mai nemmeno per sé. Un uomo con due famiglie da
mantenere, certo non era in grado...
Di nuovo sentì il grosso corpo dolergli dal desiderio di
trovare conforto in un bar. La nebbia aveva cominciato a
gelarlo e si domandò se poteva chiedere un prestito a Pat
da O'Neill. Non poteva chiedergli più di uno scellino... e
uno scellino non serviva a niente. Pure doveva trovare
soldi da una parte o dall'altra: aveva speso l'ultimo penny
per la birra e presto sarebbe stato troppo tardi per
procurarsi i soldi dovunque. Improvvisamente, mentre le
dita toccavano la catena dell'orologio, pensò all'ufficio di
pegno di Terry Kelly a via Fleet. Che buona idea! Perché
non ci aveva pensato prima?
Attraversò rapidamente lo stretto vicolo di Temple Bar,
borbottando fra sé che potevano tutti andare all'inferno,
tanto lui avrebbe passato una bella serata. Da Terry Kelly
l'impiegato disse: Una corona! ma il consegnatore insisté
per sei scellini; e alla fine i sei scellini gli vennero versati.
Uscì dall'ufficio di pegno tutto allegro, facendo tra pollice
e dita un piccolo cilindro delle monete. A via
Westmoreland i marciapiedi erano affollati di giovani,
uomini e donne, che tornavano dal lavoro, e monelli
cenciosi correvano qua e là strillando i nomi delle
edizioni della sera. L'uomo passò fra la folla, volgendo
sullo spettacolo in generale uno sguardo di orgogliosa
soddisfazione e fissandone uno imperioso sulle
impiegate. Aveva la testa piena dei rumori di gong dei
tram e dei sibili delle vetture e il suo naso già fiutava le
spire di fumo del ponce. Camminando si preparava le
parole con cui avrebbe narrato l'episodio ai ragazzi:
«Allora, l'ho guardato... con calma, sapete, e ho guardato
lei. Poi sono tornato a guardare lui... facendo con comodo
sapete. "Non credo che questa sia una domanda giusta da
farmi" dico».
Nosey Flynn sedeva nel suo solito angolo da Davy Byrne
e, quando udì la storia, offrì a Farrington una mezza,
dicendo che era una delle cose più spiritose che avesse
mai sentito. Farrington offrì da bere a sua volta. Dopo un
po' O'Halloran e Paddy Leonard entrarono e la storia
venne ripetuta. O'Halloran offri bicchieroni di malto,
caldi, a tutti e raccontò la storia della rimbeccata che
aveva dato al capo ufficio quando stava da Callan di via
Fownes; ma, dato che la rimbeccata era nello stile dei
pastori licenziosi delle egloghe, dovette ammettere che
non era intelligente come quella di Farrington. A questo
Farrington disse ai ragazzi di finire in fretta e di berne un
altro.

Proprio mentre designavano i loro veleni chi va a entrare
se non Higgins! Naturalmente dovette unirsi agli altri. Gli
uomini gli chiesero di dare la sua versione del fatto e lui
lo fece con grande brio, perché la vista di cinque piccoli
whiskies caldi era molto esilarante. Tutti scoppiarono dal
ridere quando mostrò in che modo il signor Alleyne
aveva scosso il pugno in faccia a Farrington. Poi imitò
Farrington, dicendo « E lì se ne stava il nostro amico,
imperturbabile» mentre Farrington guardava il gruppetto
con i pesanti occhi sporchi, sorridendo e a volte
portandosi via dai baffi gocce di liquore isolate con il
labbro inferiore.
Quando ebbero finito di bere ci fu una pausa. O'Halloran
aveva soldi, ma nessuno degli altri due sembrava averne,
così l'intero gruppo lasciò il locale con un certo
rincrescimento. All'angolo di via Duke Higgins e Nosey
Flynn piegarono a sinistra, mentre gli altri tre tornarono
indietro verso la city. Una pioggerella fine cadeva sulle
strade fredde e, quando giunsero al Ballast Office,
Farrington suggerì lo Scotch House. Il bar era pieno di
uomini e rumoroso per il chiasso di lingue e bicchieri. I
tre uomini si spinsero oltre i lamentosi venditori di
fiammiferi sulla porta e formarono un gruppetto
all'angolo del bancone. Cominciarono a scambiarsi storie.
Leonard li presentò a un giovane di nome Weathers che si
esibiva al Tivoli come acrobata e artiste farsesco.
Farrington offrì da bere a tutti. Weathers disse che
avrebbe preso un piccolo irlandese con acqua minerale
Apollinaris. Farrington, che aveva idee precise in materia,
chiese ai ragazzi se anche loro volevano un Apollinaris;
ma i ragazzi dissero a Tini di farglieli caldi. La
conversazione divenne teatrale. O'Halloran offrì da bere e
poi Farrington offrì di nuovo, mentre Weathers protestava
che l'ospitalità era troppo irlandese. Promise di farli
entrare dietro le quinte e di presentarli a qualche bella
ragazza. O'Halloran disse che lui e Leonard sarebbero
andati, ma Farrington no perché era un uomo sposato; e i
pesanti occhi sporchi di Farrington guardarono
maliziosamente gli amici in segno che aveva capito di
essere preso in giro. Weathers fece bere a tutti appena un
goccetto a sue spese e promise di incontrarli più tardi da
Mulligan a via Poolbeg.
Quando lo Scotch House chiuse andarono da Mulligan.
Entrarono nel salotto sul retro e O'Halloran ordinò per
tutti piccoli speciali caldi. Cominciavano a sentirsi un po'
brilli. Farrington stava proprio offrendone degli altri
quando Weathers tornò. Con grande sollievo di
Farrington questa volta bevve un bicchiere di birra. I
fondi andavano scarseggiando, ma ce n'erano abbastanza
da continuare. Dopo un poco due giovani donne con
grandi cappelli e un giovane con un vestito a quadri
entrarono e si sedettero a un tavolo vicino. Weathers li
salutò e disse alla compagnia che erano del Tivoli. Gli
occhi di Farrington correvano ogni istante in direzione di
una delle due giovani donne. Nel suo aspetto c'era
qualcosa che colpiva. Un'immensa sciarpa di mussola blu
pavone era avvolta intorno al cappello e annodata con un
grande fiocco sotto il mento; e indossava guanti giallo
vivo, che le arrivavano al gomito. Farrington fissava
ammirato il braccio pienotto che lei muoveva spessissimo
e con molta grazia; e quando, dopo un po', rispose al suo
sguardo, ammirò ancora di più i grandi occhi scuri. Lo

affascinava in essi l'espressione indiretta e fissa. Lei gli
dette un'occhiata una o due volte e, quando con gli altri
lasciò la stanza, sfiorò la sua sedia e disse «Oh, pardon!»
con accento londinese. La osservò lasciare la stanza
sperando che si voltasse a guardarlo, ma fu deluso.
Maledì la mancanza di soldi e maledì tutte le bevande che
aveva offerto, particolarmente tutti i whiskies e gli
Apollinaris che aveva offerto a Weathers. Se c'era una
cosa che odiava era uno scroccone. Era così arrabbiato
che perse il filo della conversazione fra gli amici.
Quando Paddy Leonard lo chiamò scoprì che parlavano
di prove di forza. Weathers faceva vedere il bicipite alla
compagnia e si vantava tanto che gli altri due si erano
rivolti a Farrington per tenere alto l'onore nazionale.
Farrington in conseguenza si tirò su la manica e mostrò il
bicipite alla compagnia. Le due braccia vennero
esaminate e messe a confronto e alla fine venne
convenuto di fare una gara di forza. Il tavolo fu
sparecchiato e i due uomini vi appoggiarono sopra i
gomiti, stringendosi le mani. Quando Paddy Leonard
disse «Via!» ciascuno doveva cercare di abbassare la
mano dell'altro sul tavolo. Farrington appariva molto
serio e deciso.
La gara cominciò. Dopo circa trenta secondi Weathers
abbassò lentamente la mano dell'avversario sul tavolo. Il
viso colore vino scuro di Farrington divenne ancora più
violaceo per la rabbia e l'umiliazione di essere stato
sconfitto da un simile giovincello.
«Non deve metterci anche il peso del corpo. Giochi bene»
disse.
«Chi non gioca bene?» disse l'altro.
«Avanti, un'altra. Le due meglio su tre.»
La gara ricominciò. Sulla fronte di Farrington saltarono
fuori le vene e il pallore del colorito di Weathers si mutò
in rosso papavero. Mani e braccia tremavano sotto lo
sforzo. Dopo una lunga lotta Weathers tornò ad abbassare
lentamente la mano dell'avversario sul tavolo. Ci fu un
mormorio di approvazione da parte degli spettatori. Il
barista, che stava in piedi accanto al tavolo, fece un cenno
con la testa rossa in direzione del vincitore e disse con
stupida sfacciataggine:
«Ah! questa sì che è bravura! ».
«Che diavolo ne sai tu?» disse Farrington ferocemente,
voltandosi verso l'uomo. «Perché ci metti il becco?»
«Sst, sst! » disse O'Halloran, notando l'espressione
violenta sul viso di Farrington. «Finiamola, ragazzi.
Prendiamoci ancora un bicchierino e poi andiamo.»
Un uomo dall'aria molto imbronciata stava in piedi
all'angolo del ponte O'Connell in attesa che il piccolo
tram di Sandymount lo portasse a casa. Era pieno di
rabbia repressa e di desiderio di vendetta. Si sentiva
umiliato e scontento; non si sentiva nemmeno ubriaco; e
in tasca aveva soltanto due pennies. Malediva tutto e tutti.
Si era rovinato in ufficio, aveva impegnato l'orologio,
speso tutti i suoi soldi; e non si era nemmeno ubriacato.
Cominciò ad avere sete di nuovo e desiderò ardentemente
tornare nel caldo, puzzolente bar. Aveva perso la sua
fama di uomo forte, facendosi sconfiggere due volte da
un ragazzetto. Il cuore gli si gonfiò di collera e, pensando
alla donna con il grande cappello che lo aveva sfiorato
dicendo Pardon! la collera quasi lo soffocò.

Il tram lo fece scendere a via Shelbourne e lui diresse il
grosso corpo lungo l'ombra del muro della caserma. Gli
ripugnava tornare a casa. Quando entrò dalla porta
laterale trovò la cucina vuota e il fuoco della cucina quasi
spento. Urlò verso il piano di sopra:
«Ada! Ada!».
Sua moglie era una donnina dal viso angoloso che
tiranneggiava il marito quando era sobrio ed era
tiranneggiata da lui quando era ubriaco. Avevano cinque
bambini. Un ragazzino scese le scale correndo.
«Chi è?» disse l'uomo, scrutando nell'oscurità.
«Io, papà.»
«Chi sei? Charlie?»
«No, papà. Tom.»
«Dov'è tua madre?»
«È andata in chiesa.»
«Bene... ha pensato a lasciarmi qualcosa per pranzo?»
«Sì, papà. Io...»
«Accendi la lampada. Come ti viene in mente di lasciare
tutto al buio? Sono a letto gli altri bambini?»
L'uomo si sedette pesantemente su una delle sedie mentre
il ragazzino accendeva la lampada. Cominciò a imitare
l'accento piatto del figlio, dicendo a mezza voce: «In
chiesa. In chiesa, figurarsi!». Quando la lampada fu
accesa sbatté con violenza il pugno sul tavolo e urlò:
«Cosa c'è per pranzo?».
«Adesso... te lo preparo, papà» disse il ragazzino.
L'uomo balzò in piedi furibondo e indicò il fuoco.
«Su quel fuoco! Hai lasciato spegnere il fuoco! Per Dio, ti
insegnerò a farlo di nuovo! »
Fece un passo verso la porta e afferrò il bastone da
passeggio che vi era appoggiato dietro.
«Ti insegnerò io a lasciare spegnere il fuoco!» disse,
arrotolandosi su la manica in modo da dare al braccio
libertà di movimento.
Il ragazzino gridò «Oh, papà» e corse piagnucolando
intorno al tavolo, ma l'uomo lo seguì e lo acchiappò per la
giacca. Il ragazzino si guardò intorno disperatamente ma,
non vedendo via di scampo, cadde in ginocchio.
«Ecco, lascia spegnere il fuoco la prossima volta!» disse
l'uomo, picchiandolo vigorosamente con il bastone.
«Prendi questa, ragazzaccio! »
Il ragazzo mandò uno strillo di dolore mentre il bastone
gli colpiva la coscia. Giunse le mani nell'aria e la voce gli
tremava dalla paura.
«Oh, papà!» gridò. «Non mi bastonare, papà! E io... io
dirò un'Ave Maria per te... Dirò un'Ave Maria per te,
papà, se non mi bastoni... Dirò un'Ave Maria...»







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